Alpeggio di Puntato

L’oratorio della S.S. Trinità sull’alpe di Puntato (Terrinca)

 
Ogni paese dell’alta Versilia possiede almeno un’Alpe, dove si trasferivano, dalla primavera all’autunno per coltivarla, gli abitanti con la famiglia e gli armenti.
Terrinca ne ha diversi tra cui due si evidenziano sia per la vastità dei Loghi, delle selve, dei prati e il numero rilevante  delle casupole, sia per la presenza della chiesa, fulcro di religiosità e centro reale del villaggio:
L’oratorio di Campanice dedicato a S. Giovanni Battista
L’oratorio di Puntato dedicato alla S.S. Trinità.
In deroga al principio che imponeva  di costruire le abitazioni su terreni marginali all’agricoltura, gli oratori vennero edificati nella zona pianeggiante e più fertile, sottraendola alle colture, all’incrocio delle mulattiere principali, quasi in posizione baricentrica all’alpeggio.
Già prima del 1657, al crocevia formato dalla strada di Puntato, dalla strada vicinale dei colli dei Carpini, dalla via di val Terreno che porta all’Isola Santa, dalla strada della Barca che conduce a col di Favilla, era stata innalzata, per devozione, una edicola da Francesco Bacchelli, il cui bassorilievo marmoreo raffigurava la Madonna del Rosario, il Bambino e S. Giovanni Battista. L’edicola, ancora visibile nel terrilogio del 1810, nel ventesimo secolo venne demolita e la sua Madonna, rimasta murata sulla facciata della sagrestia della chiesa fino ai giorni nostri, dopo il 1973, come tante altre, è stata rubata.
Proprio in questo punto, come ricorda la tozza lapide inserita sopra la porta centrale, venne edificato l’oratorio della S.S. Trinità nel 1679
 
            
     I MIEI RICORDI
Per l’ennesima volta salgo all’alpeggio di Puntato. Quasi con piacere calpesto il tappeto di foglie di faggio che ricopre il sentiero sotto Fociomboli, in questo assolato pomeriggio. La mulattiera serpeggia fra Paludi, Faciotti di Mezzo e oltre la Porcareccia si allunga in un rettilineo sotto la volta dei faggi, incendiati dal sole. A distanza quasi regolare la punteggiano le marginette: le piccole cappelle devozionali di Fociomboli, del Liseo, di Paludi, dello Scarpicciato, del Tiglio, cariche di anni e di acciacchi, bisognose di restauri.
È l’entusiasmo e la tenacia della Marfisa a spingere, sabato 13 ottobre , 6 persone quassù fra la Pania, il Corchia e il Freddone per tenere un consulto al capezzale  di un’ammalata grave: la chiesa di Puntato.
Donna magnifica la Marfisa Baldini: sorridendo afferma che è vecchia, mentre possiede l’esuberanza di una adolescente ed il carattere ferreo e volitivo di un trascinatore di popoli.
Ascolto la diagnosi infausta, i preventivi di spesa di decine di milioni, il nome degli enti a cui rivolgersi per ottenere i finanziamenti: una grande tristezza mi invade l’animo. Nemmeno il buon caffè che ci offre la Marfisa riesce a rasserenarmi.
Fanno ressa alla mia memoria i 33 nomi di capifamiglia che, quantunque poverissimi, il 25 giugno 1680 ebbero lo slancio generoso e il coraggio di tassare in perpetuo i loro magrissimi alpeggi, per costruire questa chiesa, dotarla degli arredi sacri e avere un cappellano che la officiasse.
E tutto il materiale lo portarono a spalla: la calce da Paludi, le travi dal Valterreno, dal Gufonaio le tavole, le piastre per la copertura del tetto dal Robbio. La vollero graziosa, abbellita da tre archi e due snelle capriate e da un abside pentagonale. Il fatto che la Marfisa e le poche persone che la aiutano, abbiano raccolto fra i terrinchesi 10 milioni per il restauro, ricostruito la porta, rifatto il tetto della sacrestia, munito di cancello tutte le entrate e steso un telo di plastica sul tetto per evitare infiltrazioni d’acqua, deve ammonirci tutti. Se il comitato di Puntato non si fosse mosso, probabilmente anche la chiesa oggi sarebbe ridotta a un cumulo di macerie. Mentre calano le ombre della sera, risaliamo la sconnessa via comunale verso il passo di Fociomboli.
Presso la marginetta di Paludi ci fermiamo per attingere acqua alla sorgente e la Marfisa  srotola sulla massicciata le carte topografiche, affinché il Sindaco e tutti gli altri osservino qual è il tracciato della via comunale.
Poi all’improvviso :
      ( Marino Bazzichi)

 

 

“Ricordo di un viaggio”.

Di Baldini Marfisa

Alla fine della scuola elementare si andava in Puntato…….

 La salita di Croce è dura e faticosa, arrivati in cima, cambia la temperatura, io e mio nonno ci mettiamo la maglia perché sudati. Siamo contenti, la strada adesso è pari si può  guardare la bellezza di questi monti, avanti ancora, prima curva, eccoci alla Crocetta, così la chiama il nonno.
Chiedo: - Perché nonno c’è quella croce?
- Perché  lì c’è cascato un uomo, aveva una rete di fieno in collo e il vento lo tirò fuori strada.
Ancora avanti, dico: - Ho sete ! - Poi sento scorrere l’acqua e il nonno mi risponde:     - Ascolta questo è il canale della Maderrada, l’acqua del canale non è pulita perché ci “bevino” le pecore, sali su quella grotticina, lì c’è una pozzetta che sembra fatta a posta per farci bere la gente. Riposiamoci un pochino qui.
Si riparte, mi volto a guardare e vedo una marginetta sotto strada, è un po’ vecchia, domando: - Ma nonno perché l’hanno fatta così lontana dal paese?
-         Ascoltami bene, se ora piovesse forte, che faresti?
-         Farei un corsa e ci andrei dentro. 
-         Ecco ora lo sai a che serve una marginetta !
Andiamo avanti perché siamo sempre al Serracchino e c’è ancora molta strada da fare in salita.
Il sole risplende sui sassi di un canale,  sembra neve, allora domando:                          - Ma là c’è sempre la neve?
- No, non c’è la neve, quello è il Canal Bianco, “guarditi a piedi che un tu caschi”. 
Il sudore mi occupa gli occhi, cammino sotto il sole, sento lo scroscio dell’acqua, mi volto e dico ad alta voce: - Ma questo canale è scuro, i sassi non risplendono come nell’altro, sono rossastri, nonno questi sassi non mi garbano.
- Ascolta bimba questo è il Sasso Rosso, il monte dà ai canali i sassi del suo colore, stai tranquilla che c’è più poco.
Dove siamo adesso non ci sono piante, il sole mi brucia  la testa, finalmente sopra la strada vedo una marginetta, vado dentro e dico forte: - Ora lo so a che servono le marginette, riparano dall’acqua e dal sole, grazie marginetta del Sasso Rosso.
Si riparte, adesso la strada è un po’ coperta dalle piante.
- Ma qui dove siamo nonno?
- Questa è la Canala Ristretta, così si chiama questo canale e sotto c’è il Malagino. Sento lo stomaco borbottare così dico: - Io nonno ho già fame!
- Abbi “pacenza” bimba, siamo vicini al Colle della Macchia, anche lì c’è una marginetta, così mangi il pane e ti passa la fame e dopo si fa la Salita della Rave. Siamo quasi vicini, poi è discesa, lì si vede Puntato, siamo Fociomboli. Mi rallegro e vado avanti . Finalmente ci fermiamo a riposare, io mi guardo intorno e dico: - Che grande vallata nonno, come c’è bello, sembra di essere in un altro mondo.
Continuando il viaggio, prendo la discesa e alla vista dell’ennesima marginetta domando : - Ma nonno questa strada è tutta marginette, quante ne hanno fatte?  
 
- Vedi bimba questa  l’ho fatta io. - Allora chiedo curiosa: - Perché non ci avete messo la madonna? Così non mi garba!
Lui risponde calmo: - Quando “possi” ce la metterò.
Ripartiamo, facciamo la discesa della Costa di Fociomboli, nel passare davanti ad un’altra marginetta esclamo: - Oddio nonno, qui c’è un'altra marginetta senza la madonna!
- Ti dico bimba, questa è la marginetta di  Eliseo e anche lui, la madonna, quando potrà, ce la metterà.
Adesso cammino all’ombra dei faggi, sono tranquilla, vedo in fondo una valletta , mi giro ecco un’altra marginetta, sono contenta perché in quella c’è una bellissima madonna e nel marmo c’è scritto che da lì è passato il vescovo Pietro Maffi e che lascia indulgenze a tutti coloro che vi si fermano a pregare  (non ricordo più le date riportate sulla lapide, è passato tanto tempo e ora è tutto distrutto ).
Mi fermo un attimo per riposare, mi guardo intorno,  vedo un campo grande con dei frassini, domando al nonno: - Come ci si chiama qui?
- Questo è Paduli, vedi, nel centro dove c’è più umido e acquoso, Agostino Babboni del Col di Favilla, in Aprile, ci seminava il farro, ha provato per diversi anni, però resa non ce n’era, era scomodo a pulirsi, dovevano portarlo a Luchera dove c’era la “brilla”. Lo coltivò per diversi anni poi,  visto che non gli conveniva, smise.
Si prosegue.
- Che “viaccia” questa!
- Questa è la Macchietta, siamo quasi alla Porcareccia, lì ci riposeremo ancora – dice il nonno. Arrivati, vedo un sasso ricoperto di muschio morbido, mi ci “sedo” subito, mi sembra un cuscino.
 - O bimba guardaci sotto , questo è il posto delle vipere - urla il nonno. Mi alzo di scatto e cammino di corsa, arrivo in Scarpicciato, sono contenta, finalmente sono a casa mia.